L'erasmus: un altro seme
- Chiara Marturano
- 15 set
- Tempo di lettura: 3 min
Sei mesi per scoprire parti di te.

Qualche tempo fa sono stata ospite del canale youtube di Antonella Crisafulli, orientatrice Asnor, specializzata nell'orientamento dei ragazzi che hanno voglia di fare un'esperienza all'estero.
Ecco il secondo capitolo per la mia vita all’estero: l’Erasmus.
A proposito sai di che si tratta? Vai in fondo all’articolo per scoprirlo!
A 19 anni facevo volontariato per un’associazione che richiedeva l’anonimato, cioè nessuno, tranne gli altri membri, doveva sapere che facevamo parte di quel gruppo. Tipo fight club, prima regola non si parla del Fight club.
Ai miei avrei potuto dirlo. Ma non mi appoggiarono: c’erano altre priorità, era una perdita di tempo, poteva essere pericoloso e così via.
Feci quello che tutti i figli fanno, dissi di sì e continuai a partecipare. Non solo. Ero un membro particolarmente attivo: ne guadagnai di autostima e di autoefficacia.
Imparai anche un’altra lezione, se volevo realizzare ciò che desideravo dovevo farlo senza chiedere il permesso a nessuno. Il permesso dovevo darmelo da sola.
Primo anno di università. Scienze internazionali e diplomatiche. La mia strada per l’Erasmus iniziava da qui.
C’era, ovviamente il problema della lingua. Per stare tranquilla scelsi inglese e francese (era un sogno poterlo imparare, finalmente!!). Con l’inglese ho sempre fatto a pugni. Ma il francese mi era congeniale. Era ed è rimasta la lingua del cuore.
Discussi del programma Erasmus con la mia famiglia ma, ricevetti la stessa risposta che avevo avuto per il volontariato. Feci quello che ogni sognatore fa in questi casi. Feci domanda. L’insegnante di francese scrisse anche una lettera di raccomandazione da allegare ai documenti perché io potessi avere più chance di partire. L’anno del mio Erasmus la banca anticipava i soldi per l’affitto della stanza. La mia tutor all’università mi aiutò a compilare i moduli, mi tranquillizzò e mi sostenne prima e durante tutto quel periodo.
Vinsi la borsa di studio per l’Università di Lione. Il problema era dirlo a casa. Troppe paure, troppi ma, troppi muri. Ok ma io parto lo stesso.
L’8 Gennaio mi accompagnarono a Lione. Era una bellissima giornata di sole, fredda, con un cielo blu. La città era grande, il campus enorme, la casa era un monolocale di 17 m2 completo di cucina, di una vicina con un topo per animale domestico, e la lavanderia in comune. Mia madre fece le tendine alle finestre. Era il suo modo per prendersi cura.
La mia tutor, riuscì a farmi autorizzare una montagna di esami che avrei dovuto fare in francese, ca va sans dire. E li feci tutti. In pratica mi portai avanti di due semestri nel giro di uno.
L’erasmus fu anche un periodo di solitudine. Mi sentivo un po’ stupida perché, al di fuori delle lezioni, non capivo nulla di quello che mi dicevano gli altri studenti.
Nel luogo delle incertezze, continuò a sostenermi il desiderio di vivere pienamente la mia vita, il bisogno di conoscermi e di sapere di potercela fare. E fu davvero così.
Certe esperienze mi hanno aiutata non tanto a cambiare ma a scoprire sotto gli strati dei doveri e delle aspettative che gli altri, chi fossi. Profondamente.
Se il non essere compresa e non riuscire a comprendere nel periodo di Erasmus provocò della sofferenza, nelle esperienze successive lo trovai un grande alleato. Ma questo te lo racconto al prossimo capitolo.
Il programma Erasmus è un’iniziativa dell’Unione Europea che permette a studenti universitari di svolgere un periodo di studio o tirocinio all’estero in un altro Paese europeo. L’Erasmus+ è l’evoluzione e l’ampliamento del programma: oltre agli studenti, include docenti, formatori, giovani e organizzazioni, offrendo opportunità di studio, formazione, lavoro e volontariato sia in Europa che in Paesi extraeuropei.
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