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E se potessi indossare il tuo Curriculum?

Ogni persona che si occupa di orientamento e carriera cerca di dare indicazioni su come raccontarti al meglio durante un colloquio di lavoro. Ma gli studi dimostrano che la comunicazione è, soprattutto, non verbale: come cammini, come occupi lo spazio, se e come gesticoli, l’espressione del volto, il tono della voce e come ti vesti.

Nella tua storia dovrebbero emergere autenticità e coerenza. La coerenza è il filo rosso che unisce tutti i canali attraverso cui ti racconti. Ad esempio, come suggerisce l’ospite della puntata di #CoachForBreakfast di oggi, potresti usare i colori dell’azienda per cui ti candidi sia nel CV che nel look. 


Il messaggio? “Faccio già parte del vostro team. Prossimo step: assunzione.”

Non è matematica, certo. Ma il pensiero dietro è potente: quando scegli cosa indossare, stai comunicando intenzionalmente. Mostri chi sei, i tuoi gusti, le tue preferenze. E soprattutto, trasmetti come vuoi essere percepito/a in quel contesto.

Non si tratta di adattarsi a stereotipi, ma di usare l’abbigliamento come uno strumento strategico, coerente con la tua storia professionale e con l’obiettivo del momento.

Qual è il tuo obiettivo in quella situazione?


  • Ti stai candidando per un ruolo di responsabilità? Potresti voler comunicare autorevolezza. 

  • Cercano una figura affidabile e precisa? Potresti voler trasmettere fiducia.

  • Vogliono una persona creativa, dinamica, brillante? Potresti mostrare anche questi aspetti della tua personalità.


Beatrice Mazza esperta di fashion style e autrice del bellissimo podcast Revenous, in questa puntata ci racconta la moda come un prisma, pieno di sfaccettature – proprio come la nostra comunicazione.


E tu? Come puoi usare i codici visivi a tuo vantaggio? E se vivi o lavori in un contesto multiculturale, come puoi evitare fraintendimenti culturali?

Ringrazio ancora Beatrice per tutti gli spunti arricchenti di questo incontro.


Nota personale e che fa un po' "zia Chiara". Mentre facevo l’editing della puntata, pensavo: “Cavolo, ma io a 28 anni non avevo tutte queste certezze.”

È già la seconda persona della Gen Z che intervisto, e ne esco sempre ammirata: per il lavoro che fanno su di sé, per il coraggio di essere autentiche, per la lucidità.

E se anche a te, come è capitato anche a me, è venuto da pensare: “Sì, ok… ma la gavetta non pagata?”, probabilmente fai parte dei Millennial a cui hanno insegnato che le lauree non bastano, l’esperienza nemmeno, e che solo dopo aver versato "lacrime e sangue" puoi definirti competente.

Questi sono bias e modelli interiorizzati con cui siamo cresciuti. E loro, fortunatamente, se li stanno lasciando alle spalle.

E questa cosa… mi piace tantissimo. Evviva.

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