Diario di una expat.
- Chiara Marturano
- 3 giu
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 9 giu
Lasciare il proprio paese è da egoisti e da codardi.

"Se te ne vai, sei un egoista.” “Il Paese ha investito su di te, ora devi restituire.” “Ci vuole più coraggio a restare che ad andarsene.”
Quante volte te lo sei sentito dire?
Nel 2024 dice l’Istat, oltre 93.000 giovani italiani tra i 18 e i 39 anni hanno trasferito la propria residenza all’estero. Segnando un incremento del 107,2% rispetto al 2014. In realtà moltissimi di loro pensano di ritornare in Italia nel breve e medio periodo.
Cosa provo difronte a quelle affermazioni? Rabbia.
Non amo i nazionalismi. Quando il senso di appartenenza diventa una catena, e non è più solo una parte della propria identità. Quando viene usato come scudo per giustificare qualsiasi nefandezza. Quando pretende di dirti chi dovresti essere, è come un genitore tossico: ti “ama” solo se fai e pensi come vuole lui/lei.
Siamo un popolo di esploratori. Immagino i detrattori di Marco Polo, a dire che fosse egoista a partire. Se fosse rimasto a Venezia, magari oggi penseremmo ancora che la terra finisce alle colonne d’Ercole. O forse qualcun altro, al posto suo, avrebbe sviluppato la cartografia. Ma non saremmo stati noi.
Ognuno di noi dovrebbe essere libero di fare il proprio percorso di crescita come e dove ritiene più opportuno, senza il peso del giudizio altrui. Parliamo spesso di libertà di esprimersi, di essere se stessi, purtroppo dietro certe affermazioni c’è la volontà di limitare la libertà di ciascuno di noi.
Provo a ragionare in termini aziendali. Inizi a lavorare a 24/25 anni, post laurea, in un’azienda che ti forma e ti dà la possibilità di crearti un’esperienza. Ti paga il minimo previsto dal contratto. L’ambiente non è dei più sani e motivanti. Fai un colloquio in un’altra azienda. Ti offrono una paga migliore, un ambiente, come si dice, dinamico, la possibilità di imparare e così via. Che fai? Rifiuti?
“Quindi tu vuoi essere libero di fare quello che vuoi ma non di pagarne le conseguenze?” “Sì esatto” “Ma questo è un privilegio che ha solo una persona al mondo” “E chi è? Il presidente?” “Un bambino”*
Scegliere porta con sé una grossa responsabilità: te la devi vedere con le conseguenze.
Davanti ad una scelta, ad un nuovo progetto di vita può capitarti di provare tante sensazioni ed emozioni diverse.
La paura è la più grande.
La paura del giudizio, la paura di fare una cavolata gigante, la paura di pentirsene, la paura di lasciare quello che ti è familiare, ma c’è anche la paura del rammarico, la paura del fallimento, la paura della solitudine, la paura di non poter chiamare nessun luogo casa, la paura di essere rifiutato perché non sei più “veramente italiano” ma neppure uno del posto.
Quindi, no. Non è da codardi.
“Quando scegliamo il coraggio, firmiamo per cadute e fallimenti. Ma è una scelta che faccio ogni giorno.”— Brené Brown
Assumersi la responsabilità della propria felicità —senza garanzie, senza approvazione, senza uno Stato, un genitore o un Paese che ti applauda o ti compatisca —è un atto di coraggio. E, prima di tutto, di amore per se stessi.
Trovi un video sulle critiche mosse agli italiani che migrano e che mi ha spinta a scrivere questo articolo, qui. I GIOVANI italiani che vanno all’ESTERO sono EGOISTI? #Connessi
*ho sentito questa frase in un film ma non sono riuscita a trovarlo!
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